Quella sera avevo tutto.
Tranne me stesso.
Era un sabato sera.
Fuori, Roma vibrava. Motorini, locali pieni, risate ovunque. Avevo sedici anni, ma dentro mi sembrava di averne trenta.
Chiusi il laptop dopo l’ennesimo video su business e start-up. Nella stanza, solo il ronzio del neon.
Non avevo voglia di uscire. Né di distrarmi. Sentivo addosso quella strana pressione. Come se il tempo mi stesse passando addosso.
Ero lì, a fissare il soffitto.
Mille domande in testa: "Che cosa sto facendo? Dove sto andando? È tutto qui?"
Poi quella frase. Appena sentita in un video:
"Tra tre anni, la tua vita sarà irriconoscibile."
Non era una promessa. Era un ultimatum.
E io decisi di accettarlo.
Quando smetti di sognare e inizi a costruire.
Poi una sera, arriva una foto da mia madre. Io e Tommaso. Sedicenni. Sguardo acceso. Fuoco negli occhi.
Mi prende allo stomaco.
Lo chiamo. Parliamo per ore. Alla fine ci diciamo solo:
“Basta. Si fa.”
Zero investitori. Zero appoggi. Zero piani di emergenza.
Solo due ragazzi. Un’idea. E Roma.
Stava tutto per svanire…
Poi una sera, arriva una foto da mia madre. Io e Tommaso. Sedicenni. Sguardo acceso. Fuoco negli occhi.
Mi prende allo stomaco.
Lo chiamo. Parliamo per ore. Alla fine ci diciamo solo:
“Basta. Si fa.”
Zero investitori. Zero appoggi. Zero piani di emergenza.
Solo due ragazzi. Un’idea. E Roma.
Il primo orologio non si scorda mai.
In quel momento abbiamo capito: non stiamo sistemando orologi. Stiamo sistemando qualcosa dentro le persone.
E lì si è accesa la miccia.
Passaparola, clienti nuovi ogni settimana, da uno al mese a cinquanta. Ma la testa? Sempre alla stessa domanda:
“Cosa rappresenta per lui questo orologio?”
Ogni pezzo che entra ha una storia. E spesso arriva dopo settimane di ricerca, dopo preventivi incerti, dopo la paura di lasciarlo a chi non sa davvero cosa ha tra le mani.
Noi siamo qui per rispettarla. E per togliere quella paura.
Contro tutti. Anche contro noi stessi.
“Troppo giovani.” “Troppo nuovi.” “Non dureranno.”
Lo sentivamo. Forte. E ogni volta era una fucilata. Ma ogni volta ci faceva stringere di più i denti.
Eravamo due ragazzini con la fame negli occhi. Ma non fame di soldi, fame di dimostrare che si può fare qualcosa di serio, anche partendo da zero.
Tommaso si è formato con una costanza fuori dal comune. Ha imparato dai migliori in Europa, spingendo ogni giorno più in là. Io intanto mi chiudevo in un ufficio, ossessionato. Ogni singolo dettaglio su come si costruisce un’azienda vera, l’ho studiato, testato, fatto mio.
Anche quando tutto sembrava andare storto, continuavamo. Nessuna certezza, ma nemmeno un passo indietro.
Poi entrava qualcuno. Con un orologio in mano e gli occhi pieni di ricordi.
In quei momenti, tutto tornava.
Non potevamo mollare.
Perché ogni volta che riportavamo in vita un orologio, stavamo facendo molto di più.
Stavamo ridando spessore, anima, potenza emotiva a qualcosa che il mondo aveva dimenticato di guardare. Un pezzo di vita. Un frammento d’identità che merita di tornare a battere.
Poi entrava qualcuno. Con un orologio in mano e gli occhi pieni di ricordi.
Oggi Orologiaus è più di un laboratorio.
È casa per chi cerca rispetto, precisione, verità.
Ogni orologio ci ricorda da dove veniamo.
Due ragazzi, zero scorciatoie, mille ostacoli. Ma una direzione chiara.
Non ripariamo orologi.
Ridiamo vita a quello che rappresentano.
Ogni scelta che facciamo - ricambi originali, tracciabilità, contatto umano - serve a una cosa sola:
Onorare la storia dietro ogni lancetta.